Il mondo alla fine del mondo
di Luis Sepùlveda
traduzione di Ilide Carmignani
anno di pubblicazione: 1989
casa editrice: Ugo Guanda Editore
TRAMA
E’ un giornalista di origini cilene che ci accompagna in questo viaggio, da Amburgo fino al Cile dove conserva i ricordi della sua prima avventura in mare a bordo di una baleniera, quando aveva voluto conoscere di persona il mondo del capitano Achab e di Moby Dick, dei quali aveva letto con tanta passione.
Dopo aver a lungo rimandato il suo viaggio di ritorno in Cile, nel giugno del 1988 il giornalista decide di partire per trovare le risposte al contenuto di un messaggio arrivato alla sede della sua “agenzia giornalistica alternativa”, che si occupa di argomenti scomodi o poco interessanti per gli altri giornali.
Il messaggio, inviato da una sua corrispondente cilena, parla di una nave officina giapponese, il Nishin Maru, capitanata da Toshiro Tanifuji, rimorchiata dalla marina militare cilena dopo che 18 membri dell’equipaggio erano morti e molti altri erano stati ricoverati in ospedale per le ferite riportate. Le autorità cilene avevano decretato la censura sulla vicenda e non erano dunque disponibili ulteriori dettagli in merito a quanto accaduto.
Il giornalista prende contatti con altre persone attive nel giornalismo “alternativo” e nelle lotte ecologiste e con i suoi riferimenti all’interno di Greenpeace. Le informazioni raccolte, sebbene in parte contraddittorie, confermano che la nave in questione era una baleniera che cacciava di frodo. Una telefonata con Jorge Nilssen, marinaio evidentemente informato sui fatti ed interessato a difendere il mare, che aveva contattato Greenpeace per chiedere il loro intervento, fa capire al giornalista che è giunto il momento di tornare in Cile, nella sua terra d’origine, per svelare il mistero della nave giapponese, attraversando nuovamente le acque conosciute da bambino, arrivando fino al luogo dell’incidente per vederlo con i propri occhi e ascoltare il racconto del capitano Jorge.
RECENSIONE
Questo libro è un breve viaggio nell’Oceano Pacifico, tra le isole e le baie dell’estremo sud del Cile, raccontato da una persona che conosce e ama quei luoghi, al punto di descriverli spesso in modo rapido, citando i loro nomi senza aggiungere informazioni. Leggendo queste pagine si coglie il legame con quei mari e quelle terre, ma ci si perde facilmente tra gli elenchi di baie, insenature, fiordi, isole… Per seguire davvero la storia sarebbe utile affiancare la lettura del libro ad una guida sul Cile o ad una cartina geografica, che aiuterebbero a cogliere molte delle sfumature presenti nel racconto, comprendendo meglio il contesto e le emozioni del protagonista.
Lo stile di scrittura del libro è semplice e scorrevole, con pochi dialoghi che spesso diventano quasi dei monologhi con i quali il personaggio del momento racconta aneddoti, storie, descrive luoghi e persone mentre parla con il giornalista cileno. Queste parti appesantiscono un po’ il racconto ma forniscono comunque informazioni utili che l’autore avrebbe dovuto altrimenti descrivere in terza persona.
Nella prima parte la storia ha un bel ritmo e permette di entrare nei ricordi del giornalista cogliendo le emozioni del periodo raccontato.
Nella seconda parte il racconto inizia a diventare più complesso, a tratti quasi frammentario, assumendo talvolta toni che lo rendono simile a una raccolta di appunti di viaggio parzialmente sviluppati ma non ancora elaborati in modo definitivo. Nel libro risalta comunque il messaggio che pone l’attenzione su un argomento importante e sempre attuale: lo sfruttamento eccessivo dei mari e della natura in generale, il deturpamento di territori e la privazione di libertà di molte popolazioni. Nelle poche pagine che lo costituiscono si coglie l’amarezza che scaturisce alla vista di mari e terre saccheggiati e deturpati per interessi economici e politici e le difficoltà, e talvolta la frustrazione, vissute dalle associazioni che combattono contro questi eventi.